Recensione a Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza di Edmund Husserl
ABSTRACT
This paper proposes a review of the book Fenomenologia dell'inconscio. I casi limite della coscienza, edited by Mariannina Failla (Mimesis 2021), which translates in Italian, with facing German text, some manuscripts published in volume XLII of Husserliana. In these texts, Husserl outlines his conception of unconscious, passing through what are defined as the other experiences at the limit of consciousness (such as birth, death and sleep), and advancing the increasingly concrete hypothesis of an unconscious consciousness.
KEYWORDS
Unconscious, Phenomenology, Husserl, Affection, Temporality.
Ai margini della vita coscienziale si estende una zona d’ombra in cui la coscienza fallisce nel tentativo di esser presente a se stessa e, in un certo senso, si “addormenta”. In questo spazio liminale si collocano quei fenomeni che costituiscono parte delle riflessioni dell’ultimo Husserl, fenomeni in cui l’ego trascendentale non agisce direttamente ma, per così dire, viene agito. Tali eventi, situati al confine tra l’attività e la passività della coscienza, sono al centro di Fenomenologia dell’’inconscio. I casi limite della coscienza (Mimesis 2021).1 Il testo rappresenta il risultato del progetto di traduzione della prima parte del volume XLII dell’Husserliana, edito da Springer nel 2014; progetto che è l’esito di un seminario per dottorandi organizzato da Mariannina Failla, ricercatrice e professoressa ordinaria in Storia della Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Oltre alla curatela del volume, sempre a Failla si deve l’importante introduzione che prepara alla lettura del testo, al quale segue l’utile Glossario posto in appendice e nel quale compaiono termini prettamente fenomenologici, quali Sinngebung (conferimento di senso), Affektion (affezione) e Zeitigung (temporalizzazione).
Grenzprobleme – è questo il titolo abbreviato dell’edizione tedesca del volume – raccoglie quella parte della produzione husserliana, rinvenuta sottoforma di appunti e brevi manoscritti, che va dal 1915 al 1934, in cui Husserl analizza – come suggerisce la traduzione italiana del titolo – le “questioni al limite” della descrivibilità della coscienza, come la nascita, la morte, il sonno e l’inconscio. Tali questioni rappresentano gli “ossi in gola” della fenomenologia, in quanto mettono a dura prova il suo metodo caratteristico – ossia la riduzione trascendentale – basato sulla descrizione dell’esperienza. Dei suddetti fenomeni non si dà infatti un’esperienza diretta. Essi riguardano intimamente l’ego, ma in quanto elementi estranei, indipendenti dall’attività egologica e capaci di essere vissuti solo tramite un diverso tipo di intenzionalità, non più esplicita ma implicita, nascosta o, meglio, inconscia.
È bene specificare che non si ha qui intenzione di restituire tutta la complessità di questa prima parte del XLII volume dell’Husserliana – lavoro per cui non basterebbe lo spazio di una recensione –, quanto piuttosto di porre l’attenzione sull’importanza di quei passaggi testuali in cui Husserl si confronta e acquisisce una certa familiarità con il tema dell’inconscio. Tale tema riveste una particolare importanza perché, come si vedrà, riemerge nel discorso husserliano a dispetto dell’idiosincrasia che lo stesso Husserl nutre nei suoi confronti.
L’importanza decisiva della sistematizzazione e della pubblicazione di questa parte degli scritti husserliani consiste proprio nel portare in primo piano ciò che Husserl aveva tentato in tutti i modi di mantenere sullo sfondo, ai margini del discorso. Questa inversione di piani si rivela fondamentale per abbozzare una risposta alla domanda che di frequente ronza nelle orecchie degli specialisti del dibattito fenomenologico contemporaneo e che, allo stesso tempo, costituisce il grande dubbio epistemologico che attraversa tutta la storia della fenomenologia. La domanda è la seguente: è possibile che la fenomenologia come scienza della coscienza includa nella sua trattazione qualcosa che per principio si sottrae alla coscienza stessa? O, più semplicemente, può realmente darsi una fenomenologia dell’inconscio? L’intento teorico del testo si può individuare non solo nel rispondere in modo affermativo a tale interrogativo – risposta che, grazie ai curatori dell’edizione tedesca, troviamo espressa già nel titolo di questa prima parte del volume, Phӓnomenologie des Unbewusstseins –, ma anche e soprattutto nel mostrare, attraverso questi ultimi scritti rimasti inediti fino a pochi anni fa, come non solo esista una vera e propria trattazione fenomenologica dell’inconscio, ma quanto questa sia necessaria per tutta la fenomenologia genetica, in quanto via d’accesso privilegiata per l’analisi della modalità di costituzione passiva e inattuale della coscienza.
Il XLII volume dell’Husserliana si colloca nel pieno della fase genetica – che ha inizio intorno al 1916-1918, ma che conosce il suo massimo sviluppo tra gli anni Venti e Trenta –, posizionandosi tra le Lezioni sulla coscienza interna del tempo e le Lezioni sulla sintesi passiva. Percorrendo le pagine del volume qui tradotte si evince come, proprio a partire dai concetti fenomenologici di “temporalità” e di “sintesi passiva”, possa o, meglio, debba prendere forma un’analisi fenomenologica dell’inconscio.
Prima di proseguire però, è bene spendere qualche riga esplicativa sul motivo per cui i riferimenti alla nozione di inconscio siano così rari e scarni in tutta l’opera husserliana. La resistenza di Husserl a dedicare una parte della propria opera alla trattazione del «cosiddetto inconscio»1 – come egli stesso lo definisce con un certo scetticismo nelle Lezioni sulla sintesi passiva – si può comprendere principalmente alla luce del progetto che egli aveva in serbo per la sua fenomenologia. A partire dalla scelta del termine fenomenologia per definire il proprio programma filosofico, Husserl segnala una netta presa di distanza dalla psicologia e dalla filosofia psicologica di matrice brentaniana.2 Per rendere la filosofia una scienza rigorosa, guida e magistra di tutte le altre, «Husserl non è interessato in primo luogo ad una grammatica della coscienza come tale, ma alla grammatica, ossia alle leggi o alla struttura dell’essente, secondo una chiara distinzione dell’ambito logico da quello psicologico».3 Il campo d’indagine della fenomenologia è quindi rivolto alle condizioni di possibilità dell’apparire del mondo così come esso appare: dovendo il mondo apparire necessariamente a qualcuno, la coscienza trascendentale diviene la prima condizione di possibilità della manifestatività dell’essente in generale. In questo senso la fenomenologia – scienza delle essenze e al contempo della coscienza – tenta di rimuovere dal discorso il concetto di inconscio, percepito esclusivamente come ciò che sta in opposizione alla coscienza.
È nel fallimento della rimozione di ciò che è considerato il grande altro del discorso fenomenologico che l’inconscio riemerge proprio all’interno dell’orizzonte della stessa coscienza, non come dimensione ad essa speculare o contraria, ma come sua modalità passiva, non-conscia. Nel rifiuto fenomenologico di un al di là della coscienza, l’inconscio ritorna come sua parte costituente, nella forma del suo limite stratificato, aperto, non definito. Non a caso, proprio con l’analisi dei concetti preliminari di Limes (limite) e Grenze (confine) si apre l’introduzione alla traduzione italiana, che invita il lettore ad interrogarsi sul «paradossale darsi di ciò che è inaccessibile».4 Grenzefalle e Limesfalle rimandano, infatti, a quel livello della coscienza che non viene mai vissuto intenzionalmente, ma che costituisce lo sfondo intoccato di tutte le modificazioni intenzionali che l’ego sperimenta continuamente. Tale sfondo passivo, in cui si incista ogni attività egologica, costituisce la soglia coscienziale che sfugge a qualsivoglia tematizzazione, innescando così un’approssimazione infinita verso qualcosa che si sottrae alla coscienza, senza mai sottrarsi del tutto.
Di fronte a questo limite insondabile cade il mito dell’autotrasparenza della coscienza, che si scopre incapace di vedere vedersi: è proprio nel tentativo di tematizzare la totalità della coscienza che si evince infatti la presenza-assenza di un resto irriducibile alla tematizzazione, resto che non è nient’altro se non il polo oscuro, inesplorato e inconscio della coscienza.
Nelle Lezioni sulla sintesi passiva Husserl si trova per la prima volta a dover fare chiarezza circa la questione dell’inconscio, con l’intento, dichiarato fin da subito, «di gettare qualche luce fenomenologica su questa notte».5 È significativo che Husserl usi proprio l’espressione metaforica della luce contrapposta al buio conoscitivo, che in questo caso corrisponde all’oscurità della coscienza rispetto a se stessa, ossia a quella zona d’ombra in cui fallisce ogni tentativo di autocoscienza. Ad essa Husserl vuole contrapporre «esempi chiari»6 in modo da mostrare come tutto possa essere in realtà risolto alla luce della stessa coscienza trascendentale, l’unico campo possibile dell’analisi fenomenologica.
I Grenzeprobleme si inseriscono in perfetta continuità rispetto al suddetto proposito, dedicando largo spazio a quello che Husserl, nel titolo della X Appendice, definisce «l’enigma dell’inconscio (sedimentazione)».7 Come nelle Lezioni sulla sintesi passiva, anche in questi ultimi scritti Husserl incontra il concetto di inconscio attraverso l’analisi dell’affezione e del processo ritenzionale, arrivando a collocarlo nell’«orizzonte zero, l’orizzonte del sedimentato»,8 corrispondente al «grado zero della vivacità coscienziale».9 Ogni termine di questa prima definizione di inconscio ci dice qualcosa di fondamentale sul percorso che porta Husserl a dover necessariamente ipotizzare la presenza di una coscienza inconscia.
Innanzitutto, è proprio attraverso il fenomeno dell’affezione che Husserl mostra come la vita di coscienza non coincida tout court con l’attività dell’ego: il presente vivente è, infatti, costantemente accompagnato da un orizzonte di passività che lo costituisce. Tale orizzonte corrisponde a uno strato pre-oggettuale passivo – il cosiddetto pre-categoriale – che motiva ogni azione dell’ego, la quale, da essere considerata atto spontaneo in grado di animare la materia sensibile informe, diventa adesso la risposta a un’organizzazione originaria e pre-egologica. Per attirare l’attenzione dell’ego e motivarne l’azione, ogni stimolo affettivo entra in competizione con tutti gli altri stimoli dotati di forza affettiva, in quello che Husserl definisce «relativismo delle tendenze affettive»:10 sempre secondo questo principio, ciò che adesso è avvertibile può diventare inavvertibile e viceversa.
Alla luce di queste osservazioni, Husserl conclude che anche gli elementi inavvertibili producono un qualche tipo di affezione, ed è proprio qui che entra in gioco il ruolo fondamentale della gradualità: ciò che distingue lo stimolo a cui si rivolge l’ego da quelli non immediatamente avvertibili, non ancora avvertiti o avvertiti in passato, non è il fatto di essere unità affettive o meno, ma è il loro relativo grado di affettività, grado che, a livello zero, costituisce l’inconscio. Definire l’inconscio come grado della vivacità di coscienza e non come sfera a sé stante significa, per Husserl, compiere un’operazione ben precisa: far rientrare l’inconscio nel campo della coscienza trascendentale. Infine, anche l’utilizzo dello zero non è affatto casuale. Come ci fa notare la curatrice dell’edizione italiana:
Se confine, o punto limite, interruzione e relazionalità, costituiscono l’orizzonte concettuale dell’uno e dello zero, si può ipotizzare come siano proprio tali caratteristiche a collocare lo zero al centro delle analisi genetiche rivolte ai casi limite della coscienza, soprattutto all’inconscio.11
Fin dalla Filosofia dell’aritmetica, per Husserl lo zero è caratterizzato da una doppia negazione, costituendo un non nulla: non solo entra a pieno titolo nell’insieme dei numeri cardinali, ma la sua funzione di punto-limite consente anche di far emergere tutte le eccezioni delle relazioni aritmetiche, rendendolo così una sorta di metanumero. Allo stesso modo, l’inconscio inteso come grado zero dell’affezione rappresenta non già un nulla affettivo, bensì forma un’unità indifferenziata che contiene in sé tutte le altre gradualità affettive. Questa unità indistinta nella quale si confondono tutte le correnti ritenzionali costituisce, quindi, il sedimentato inconscio, che resta però costantemente disponibile ad essere risvegliato: «a questo processo appartiene, come elemento fondamentale dell’esistenza vigile, la costante possibilità e anche la realtà effettiva (Wirklichkeit), che si presenta sempre di nuovo, del ridestamento di ciò che è già sedimentato».12
L’accesso all’inconscio fenomenologico è, pertanto, sempre disponibile. Difatti, come suggerisce Francesco Saverio Trincia: «l’inconscio è dunque un’indistinzione, un silenzio che resta tuttavia disponibile a far riaffiorare le voci, senza che nell’indistinzione muta e passiva sia attualmente possibile isolare una qualche voce di oggettualità passate tra loro distinguibili, e perciò ancora vive e già rivitalizzate».13 Esso non riguarda solo quelle modalizzazioni destinate ad inabissarsi e perdere forza affettiva, ma, proprio secondo l’andamento circolare del processo temporale – che si costituisce nell’intreccio continuo tra passato, presente e futuro – interviene in modo strutturante anche nei fenomeni destinati a ri-emergere nella coscienza.
È proprio analizzando i «cerchi della temporalità»14 che la domanda che Husserl si pone nei Grenzprobleme riguardo al processo di temporalizzazione della coscienza diviene più radicale rispetto agli altri scritti. Husserl si interroga infatti sugli estremi del flusso temporale di coscienza, vale a dire l’inizio e la fine. In questo caso entrano in gioco le esperienze-limite nominate in precedenza, ossia la nascita e la morte dell’ego trascendentale. Esse vengono ricondotte a quella che Husserl considera la «distinzione fondamentale dell’affettività»,15 ossia la distinzione tra gli stati di veglia e di sonno della coscienza. La nascita viene infatti a costituire un risveglio originario prodotto da un’affezione primordiale, caratterizzato da un’assenza di rimemorazione del passato; la morte, invece, è rappresentabile come un sonno senza sognial quale si giunge attraverso la dissolvenza affettiva, con l’eccezione dell’impossibilità di un risveglio. Ciò che preme sottolineare a Husserl è la stretta interdipendenza tra il momento della veglia come temporalizzazione e del sonno come sfondo non-temporalizzato. La temporalità, così come l’attività della coscienza, non potrebbe esserci senza uno sfondo pre-esistente non temporalizzato e passivo che ne permetta l’origine, ma quest’ultimo non sussisterebbe se non in vista del tempo e dell’attività coscienziale. In questo senso, le due modalità della coscienza si richiamano a vicenda, in una stretta co-dipendenza che impedisce una vera e propria gerarchia sequenziale:
Lo sguardo di Husserl è rivolto al rapporto del presente vivente con l’originarietà pre-temporale dell’inizio, la quale acquista il proprio senso d’essere solo in vista della temporalizzazione. Se da un lato l’inizio fenomenologizzante, ossia l’origine di ogni operatività della coscienza e di ogni suo processo costitutivo, è nel sonno originario, in una coscienza non tematizzante, priva di rilievi e di azioni temporalizzanti, priva d’interesse e d’affettività, dall’altro il senso d’essere di tale inizio ‘pre’ e ‘a-temporale’ è solo nella temporalità.16
Nel passaggio continuo tra la veglia e il sonno si costituisce la coscienza nella sua infinita continuità temporale, continuità che, quindi, non ammette un inizio e una fine propri – come vita e morte naturali, accadimenti mondani che non coinvolgono l’ego trascendentale –, ma che si configura come rifluire continuo dal sonno originario non-temporalizzato all’attività temporalizzante della coscienza.
In definitiva, a circoscrivere l’inconscio fenomenologico concorrono tanto il fenomeno dell’affezione quanto il processo ritenzionale come sedimentazione che, insieme, delineano la vita di coscienza come un continuo trapasso dalla veglia al sonno e viceversa. Il polo dell'ego completamente desto e attivo e il polo passivo, in cui l'ego è immerso in un sonno profondo, rappresentano quindi i punti limite della vita di coscienza. Nell’andirivieni tra di essi e attraverso le innumerevoli gradazioni intermedie, la coscienza trascendentale si costituisce, sempre di nuovo.
Alla luce dell’oscillazione continua tra il polo attivo della veglia e il polo passivo del sonno, si può allontanare l’idea di una coscienza rilegata nel polo attivo intenzionale e contrapposta a una sfera inconscia completamente passiva, facendo coesistere conscio e inconscio nell’unica dimensione trascendentale della coscienza inconscia.
Rendendo disponibili le riflessioni dell’ultimo Husserl – rimaste inedite fino a pochi anni fa –, Fenomenologia dell’inconscio ribadisce l’urgenza di allargare le maglie della fenomenologia in modo da mantenere la sua funzione di discorso e operazione preliminare a ogni altra disciplina e al contempo di permettere la comunicazione e l’intreccio con discipline ad essa contigue, prima fra tutte la psicoanalisi. Ne consegue la riattivazione di quelle categorie – in primisquella di “inconscio” – che l’esegesi husserliana (e non solo) aveva espunto tanto dal dibattito fenomenologico quanto dalla filosofia teoretica tout court. Il guadagno principale di questa lettura consiste in definitiva nello smarginamento e nel superamento di quel fin troppo logoro dualismo tra conscio e inconscio, tra passività e attività che impropriamente aveva posto in netto contrasto la fenomenologia statica e quella genetica. Questo lavoro di traduzione coincide quindi con il rinnovamento di quella genesi ininterrotta che è la descrizione fenomenologica.
1 E. Husserl, Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, a cura di M. Failla, Mimesis, Milano-Udine 2021.
2 E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, La Scuola, Brescia 2016, p. 249.
3 Per un attento confronto tra l’opera di Brentano e quella di Husserl, con particolare riferimento alla questione dell’inconscio, cfr. M. Di Martino, La questione filosofica dell’inconscio. Inconscio e autocoscienza non riflessiva da Brentano e Husserl, Mimesis, Milano-Udine 2019.
4 Ivi, p. 207.
5 E. Husserl, Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, cit., p. 10.
6 E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 249.
7 Ibidem.
8 E. Husserl, Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, cit., p.199.
9 Ibidem.
10 E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 262.
11 Ivi, p. 245.
12 E. Husserl, Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, cit., p. 17.
13 Ivi, p. 145.
14 F.S. Trincia, Husserl, Freud e il problema dell’inconscio, Morcelliana, Brescia 2008, p. 112.
15 E. Husserl, Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, cit., p. 215.
16 Ivi, p. 141.
17 Ivi, p. 48.
BIBLIOGRAFIA
Di Martino M., La questione filosofica dell’inconscio. Inconscio e autocoscienza non riflessiva da Brentano a Husserl, Mimesis, Milano-Udine 2019.
Husserl E., Fenomenologia dell’inconscio. I casi limite della coscienza, a cura di M. Failla, Mimesis, Milano-Udine 2021.
Id., Lezioni sulla sintesi passiva, La Scuola, Brescia 2016.
Trincia F.S., Husserl, Freud e il problema dell’inconscio, Morcelliana, Brescia 2008.
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