Risveglio di primavera

Lorenzo Tombesi
25 ottobre 2025

Nel 2021 io, i miei compagni e le mie compagne abbiamo messo in scena uno spettacolo, Risveglio di primavera di Frank Wedekind, con la regia di Gabriele Vacis. Eravamo la classe della Scuola per attori del Teatro Stabile di Torino e quello era il nostro saggio di diploma.

In Risveglio di primavera Wedekind racconta le storie di un gruppo di quattordicenni. Era il 1890. Non c’erano la radio e il cinema, non era ancora affondato il Titanic. Freud non aveva ancora scritto L’interpretazione dei sogni. Si era bambini o si era adulti, quello che sta in mezzo e che chiamiamo “adolescenza” semplicemente non esisteva. Il sottotitolo di Risveglio di primavera è Kindertragödie – una tragedia di bambini, di ragazzi. Adesso sappiamo che quel momento è un tempo particolare, che richiede cura. Sappiamo che nessun* supera l’adolescenza senza ferite. Melchior è il protagonista e sopravvive, ma perde il primo amore e il migliore amico: Wendla muore di aborto, Moritz si spara in testa. 

L’autore è costretto dalla censura a produrre diverse versioni del testo. Risveglio di primavera va in scena nel 1906, con la regia di Max Reinhardt. Ma ancora la censura bloccherà lo spettacolo. Perché?

MORITZ

Tu li hai già provati?

 

MELCHIOR 

Che cosa? Gli stimoli virili?

 

MORITZ 

Mh.

MELCHIOR 

Per me son cose vecchie! Già un anno.

MORITZ 

Per me è stato come un fulmine.

 

MELCHIOR 

Stavi sognando?

 

MORITZ 

Sapessi che cosa ho sofferto dopo quella notte!

 

MELCHIOR 

Rimorsi?

 

MORITZ 

Rimorsi? … Paura di morire!

 

Poi Moritz chiede a Melchior come nascano i bambini perché lui non lo sa. Non c’erano Yahoo o ChatGPT: «Io vedo come fanno le galline a fare le uova; mi dicono che la mamma mi ha portato nel suo cuore. […] Io non riesco a parlare con una ragazza senza che mi vengano dei cattivi pensieri. Però te lo giuro, Melchior: che cosa siano esattamente questi cattivi pensieri, io non lo so». 

Quando andavo alle medie e si parlava di sesso, dovevo uscire dalla classe perché sudavo freddo e impallidivo. Le mestruazioni, il sangue, il dolore che le donne provano durante il parto mi sembrava ingiustificato, assurdo. Da una parte volevo sapere, dall’altra no.

A scuola Moritz fa fatica, i genitori sono assenti. Melchior si comporta da amico e da padre, come spesso accade nell’universo dei ragazzi che crescono. Gli scrive un quadernino di informazioni intitolato L’amplesso, una lezione di anatomia tra adolescenti. Moritz però non lo digerisce: suda freddo, impallidisce. Forse è stato detto troppo, forse è stato detto male: non ci sta dentro. È uno di quelli lì, Moritz: possiamo vederlo col gomito sul banco che tiene su una testa che non sta in piedi mentre la professoressa ripete stanca la solita lezione, la stessa da duemila anni. Chissà cosa pensa. 

 

MORITZ 

[…] Se non fossi stato promosso mi sarei sparato un colpo in testa!

 

ROBERT 

Stronzate!

 

GEORG 

Cagasotto!

 

OTTO 

Avrei voluto vederti!

 

LAEMMERMEIER 

Uno schiaffo per castigo! 

1890 - 2025. Sono passati 135 anni, cos’è cambiato?

Paolo Mendico si è tolto la vita a quattordici anni. Quando ho letto la notizia, ciò che più mi ha impressionato è stata la somiglianza.1 La foto è del 2010, avevo undici anni. La prima vacanza fuori dall’Italia, a Parigi con zia Monia e Massimo. Io me lo ricordo quando con gli amici camminavamo in gregge e la signora davanti al campo sportivo ha salutato Giacomo e Gianmarco che conosceva, e poi: «Come si chiama la vostra amichetta?». Io mi ricordo la prima lezione di ginnastica ritmica, la prima e l’ultima perché era chiaro cosa sarebbe costato. Un particolare che i sopravvissuti non sanno e che i morti non dicono è che, nella grande maggioranza dei casi, a farmi pesare quel tono “femminile” – o come vogliamo chiamarlo – erano i grandi. «Perché non ti tagli i capelli?». Un giorno me li sono tagliati, ma non è cambiato niente. 


I miei compagni di scuola non hanno mai pensato di annientarmi. Un giorno il bersaglio era Antonio perché aveva gli occhiali, il giorno dopo Elena perché aveva le tette grandi. Il giorno dopo ancora toccava a me perché i capelli, o perché l’altezza. Ma quando smettevano di prendersela con me, toccava a me fare il bullo. In questo “gioco” c’è la scoperta dell’altro, c’è l’individuazione di un confine tra il proprio corpo e quello di chi ci sta intorno. È fondamentale che ci sia il diritto di replica, un giorno tocca a me, il giorno dopo a te. I cani si annusano per conoscersi, noi pure. Il gioco si fa spesso violento perché il contesto è opprimente: la scuola annienta i corpi nascondendoli dietro banchi che diventano maschere (il Covid era l’occasione per liberarcene definitivamente, e realizzare così il sogno di Don Milani. Cosa abbiamo fatto? Banchi con le ruote che adesso riempiono gli sgabuzzini di tutte le scuole d’Italia). 


Da qualche anno affianco Gabriele Vacis nel corso di Istituzioni di Regia all’Università Cattolica di Milano: incontro ragazze e ragazzi senza bacino, senza collo, senza testa. Che camminano, ma che non sanno come e perché. Pare, ultimamente, che il problema sia l’“orientamento”, ma prima ancora la questione è l’equilibrio. (Imparare ad orientarsi, capire cosa si è e si vuole fare è l’impegno di una vita, non basteranno una visita agli edifici universitari o due incontri con un laureato – operazioni come queste servono soltanto a spartirsi quattrini già miseri, tra bandi e finanziamenti). Quando chiedo loro di pronunciare quello che dicono, fosse pure soltanto nome e cognome, a un volume che tenga conto dei compagni che stanno dietro di loro, che tenga presente della grandezza degli spazi, scoppiano in pianto. E non sto esagerando. Non sono due ore di educazione fisica alla settimana a mobilitarli, soprattutto perché non è di sport che si tratta, ma di imparare ad abitare il proprio corpo e la propria voce con consapevolezza. La partita in campo ha lo stesso peso della vita che scorre nello spogliatoio. Cosa rispondono le ragazze e i ragazzi che i giornalisti, i sociologi, gli antropologi hanno detto “bruciati” se si chiede loro cosa è mancato di più della scuola in presenza sospesa a causa della pandemia? L’intervallo. Perché è durante l’intervallo che si fa la conoscenza dell’altro, la materia più necessaria. Abbiamo demonizzato il corpo fino a convincerci che studiare e scrivere siano una cosa da testoni, ma Pascoli e Pirandello sono corpi che scrivono di corpi. In questo modo abbiamo reso insopportabili ai ragazzi storia e letteratura, perché così, scorporati, romanzi e poesia non li riguardano. Mi è servita una scuola di teatro per capire che esiste un corpo, un corpo che prima o poi viene a galla. Che se rimane inascoltato, prima o poi scoppia. È chiaro che c’è un limite tra “gioco” e “violenza” che non va oltrepassato, ma come si stabilisce questo limite? Chi lo stabilisce? Chi è l’arbitro di questo gioco? Il garante? Quando un “sì” è un “sì” e quando un “no” è un “no”? Cosa vuol dire “educazione affettiva”? Chi se ne occupa? Dove? Quando? 

 

MORTIZ 

Se vengo bocciato, mio padre si spara e mia madre finisce in manicomio. Non posso permettermelo!

 

MELCHIOR 

Hai ragione Moritz, la vita fa schifo. Avrei proprio voglia di spararmi un colpo in testa. Dov’è mia madre con il the?

 

LA SIGNORA GABOR 

Ecco, ragazzi, accomodatevi. Buona sera, Stiefel: come sta?

 

MORITZ 

Bene, grazie, signora Gabor. 

 

LA SIGNORA GABOR 

Però non ha una bella cera. Si sente bene?

 

MORITZ 

Non è niente. È un po’ di sere che vado a letto tardi.

 

MELCHIOR 

Pensa, mamma, è stato su a studiare tutta la notte.

 

LA SIGNORA GABOR 

Non deve fare così, signor Stiefel. Deve riguardarsi. Stare attento alla salute. La scuola non gliela ridà, una volta persa. Camminare, stare molto all’aria aperta! Questo, alla sua età, vale di più che il saper scrivere in latino.

 

La signora Gabor, la madre di Melchior, non è un’assistente sociale. Tantomeno una psicoterapeuta. Non legge Crepet né Gramellini. Non ha letto Papini: «Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanetti e i giovanotti che dai sei fino ai dieci, ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? […] Con quali traditori pretesti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro libertà nell’età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro intelligenza?». Eppure, lei è l’unica capace di ascoltarlo, di accoglierlo: «È inammissibile giudicare un ragazzo dalle proprie pagelle scolastiche. […] Testa alta e petto in fuori, Stiefel! Crisi come queste capitano a tutti nella vita, bisogna saperle affrontare. Dovessimo ammazzarci tutti alle prime difficoltà, il mondo sarebbe un deserto!». 

Ilse ha l’età di Moritz, ma ha lasciato la scuola da tempo, è una figlia della dispersione scolastica. O una che in qualche maniera l’ha scampata. Lei prova a fare un ultimo tentativo offrendogli qualcosa che ancora non conosce, una possibilità d’amore forse, fosse soltanto la scoperta del corpo dell’altro, del sesso che non sai cos’è, che fa godere ma che fa paura, la cosa che gli tiene in ostaggio i sogni da tempo:

 

ILSE 

Vieni fino a casa mia!

 

MORITZ 

Ma perché? … Perché?

 

ILSE 

A bere il latte come quando eravamo piccoli! 

 

MORITZ 

Devo fare i compiti. Buonanotte, Ilse!

 

ILSE 

Sogni d’oro! Il giorno che vi sveglierete voi, io sarò già da buttare. (Esce)

 

MORITZ 

Senza volerlo l’ho trovato il posto. La vista attraverso i salici è sempre la stessa. Il fiume si trascina pesante come piombo fuso. Ora tutto è diventato buio. Ora a casa non torno più.

A ottobre dell’anno scorso sono tornato a casa mia, a Senigallia, per il funerale di Leonardo Calcina. Si è tolto la vita a quindici anni. Leonardo ha aperto la cassaforte dei nonni, e con la pistola del padre, vigile urbano, ha preso la strada della campagna. Sono passato di lì tante volte, tante volte ho sfidato e sono stato sfidato dagli amici a entrare nelle case abbandonate. In una di quelle, Leonardo si è sparato. Lo troveranno il giorno dopo, nel primo pomeriggio. Nel frattempo, però, la scuola che frequentava aveva ricevuto l’allarme: non bisogna fare uscire gli studenti in cortile nell’ora dell’intervallo perché chissà che Leonardo non commetta una strage, all’americana. 

Tra istituzioni e realtà si è aperta una faglia che pare insanabile. E gli strumenti che mettiamo in campo in questi casi sono quelli dei potenti, dei bulli, e non toccano minimamente l’origine del fenomeno, anzi infieriscono su una fascia già fragile: inchieste e indagini. In poche ore i tre piccoli criminali erano all’angolo, e adesso? Dirigente e consiglio docenti che non hanno saputo “ascoltare” sono stati messi alla gogna, e adesso? Sfoghiamoci! Possibile che non vi puzzino le mani e le coscienze? Con quale coraggio parlate a quelle madri, ministri? Ma che domande fate, giornalisti? Ce ne occupiamo, ma per davvero, o cominciamo a scavare la prossima buca? Qual è il piano, signor Valditara? 

 

IL RETTORE 

Poniamo il caso che noi si soprassieda all’idea di inoltrare al Ministero della Cultura la proposta di espulsione dell’alunno incriminato; il Ministero stesso potrà ritenere noi responsabili della sciagura verificatasi. Loro sanno che tra i vari Ginnasi flagellati da questa epidemia di suicidi, il Ministero della Cultura ha disposto la chiusura di quelli in cui la popolazione scolastica è rimasta vittima di detta epidemia nella misura del venticinque per cento.

 

L’alunno incriminato è Melchior:

 

IL RETTORE 

Questo osceno scritto deve dunque a lei la sua stesura?

 

MELCHIOR 

Sì. La prego, signor Rettore, di indicarmi una sola oscenità che vi sia contenuta.

IL RETTORE 

Lei ha soltanto da rispondere “sì” o “no”!

 

MELCHIOR 

Io mi sono limitato a descrivere cose note a tutti!

 

Non conoscevo Leonardo, ma mi pareva di conoscere la sua storia. Per questo ci tenevo a essere lì, perché in qualche modo sentivo che quello potevo essere io se non – se non? Al funerale c’erano i professori che sono stati i miei professori quando avevo la sua età, quelli che in qualche maniera si sono presi cura di me. Come mai non ce l’hanno fatta con lui? Io una risposta non ce l’ho, ma forse una risposta non c’è. Dopo un incidente hanno senso le indagini: cercare di capire chi ha sbagliato e dove, se è stato un colpo di sonno o un bicchiere di troppo. Di chi sia la colpa. Una nave che affonda o una diga che crolla possono avere dei responsabili alle spalle, chi ha in mano la situazione e gestisce male l’emergenza. Ma un suicidio? Il bullismo non è una risposta valida, è il dito e non la luna. Non basta una vita per imparare a convivere con un evento del genere, trovare a tutti i costi un responsabile è un palliativo. Mi fa venire in mente quel famoso caso di cronaca: Girolimoni, il mostro di Roma. Tra il 1924 e il 1927, a Roma, sono state rapite, violentate e uccise sette bambine. Il caso aveva suscitato non poco clamore. Il regime aveva bisogno di inchiodare qualcuno, il prima possibile, perché la posta in gioco era la faccia del Duce. I garanti dell’ordine e della legge si accaniscono su Gino Girolimoni. Le prove? Nessuna. Le poche che c’erano, se l’erano fabbricate. I giornali hanno documentato nel dettaglio la cattura, ma non un articolo sulla sua scarcerazione: Girolimoni esce di prigione dopo un anno, è innocente, ma Roma non lo sa. Per il paese, lui resta e resterà il mostro di Roma.

Trovare a ogni costo un colpevole è una risposta fascista alla tragedia. Fascismo e tragedia non possono andare d’accordo: il primo ha bisogno di arrestare qualcun*, la seconda non può, perché non c’è colpa e non c’è colpevole, ci sono vittime e destini.2 E questo chi glielo dice alla famiglia?

IL PASTORE 

… Colui che volta le spalle alla grazia con la quale l’Eterno Padre redime quanti nacquero nel peccato originale, quegli perirà della morte dello spirito! Colui che vive nel male servendo il male e caparbiamente rinnegando l’onore a Dio dovuto, quegli perirà anche della morte del corpo! Colui che infine, empiamente, getta lungi da sé la croce che Dio misericordioso gli ha imposto ad espiazione dei suoi peccati, in verità, in verità vi dico, quegli morrà di morte eterna!

 

IL SIGNOR STIEFEL 

Quel ragazzo non era figlio mio! Quel ragazzo non era figlio mio! Quel ragazzo fin da piccolo non mi era mai piaciuto!

 

IL RETTORE 

Comunque, probabilmente, non avremmo neanche potuto promuoverlo!

 

UN PROFESSORE 

E anche l’avessimo promosso, sarebbe stato ineluttabilmente bocciato in primavera!

 

In diverse rappresentazioni di Risveglio di primavera gli adulti vengono messi in scena con delle maschere, ma è una trovata. Non tiene conto della densità che Wedekind ci propone. Il padre di Moritz al funerale ripete che quel ragazzo non era suo figlio. La madre non c’è. Non è assurdo, di fronte a un dolore indicibile come la perdita di un figlio ci comportiamo in modi diversi: c’è chi si dissocia, chi si spegne, chi dimentica. Chi combatte. Il signor Stiefel non comprende, non riconosce suo figlio. Magari ci sembra ridicolo perché c’è la morte di mezzo e potremmo anche indignarci: ma come? Eppure basta spostare di poco la questione: una madre che riceve a cena il fidanzato nero della figlia bianca o un padre che scopre che il figlio è omosessuale, ed ecco che quel ragazzo non è più mio figlio! 

 

HAENSCHEN RILOW 

Ma sei sicuro che si sia impiccato?

 

ERNST 

Dicono che non aveva più la testa.

 

OTTO 

Stronzate!

 

ROBERT 

Ho toccato io la corda, con queste mani! 

 

GEORG 

Non poteva andarsene in modo più banale!

 

HAENSCHEN RILOW 

Come se impiccarsi fosse divertente!

 

OTTO 

Mi devi cinque marchi. Avevamo scommesso. Aveva giurato di tener duro.

 

HAENSCHEN RILOW 

Colpa tua se è finito così. Gli avevi dato del cagasotto.

 

OTTO 

Balle, io sgobbo giorno e notte. Se studiava letteratura greca non aveva bisogno di impiccarsi.

 

ERNST 

Tu l’hai fatto il tema, Otto?

 

OTTO 

Solo l’inizio.

 

ERNST 

Io non so proprio cosa scrivere.

 

Un ragazzo cambia due volte istituto superiore a causa dei bulli, una madre racconta che il ragazzo aveva la media del nove, ma le professoresse mostrano pagelle con voti scarsissimi e una pessima condotta: chi mente? Un padre che, nella disperazione, cerca di proteggersi e di giustificarsi? O un professore poco brillante? Lo sai che io ho perduto due figli / signora lei è una donna piuttosto distratta – ma nel dolore di una famiglia non si possono mettere le mani, per cui cominci pure la crociata contro la scuola.

Un figlio che rifiuta la vita che gli è stata donata è un figlio che in qualche maniera lancia un’accusa al mondo dei vivi e colpisce i genitori nel centro. Anche suo malgrado. Il suicidio è un gesto che non rende conto a nessun*. Lorenzo Seminatore si era ammalato di anoressia. Dopo più di un periodo di ricoveri e tentativi, si è lasciato morire di fame nel 2020. Suo padre, sua madre e i fratelli hanno lottato con le unghie e con i denti per tenerlo in vita. Ma Lorenzo era maggiorenne, poteva rifiutare le cure e lo ha fatto. Si è spento lentamente, in camera sua, con i genitori che dormivano nella stanza accanto. Un figlio che si toglie la vita dice: eravate voi a volere, io non volevo più niente. La sua famiglia adesso continua a ricordarlo attraverso l’impegno attivo, mettendo in luce le falle della società che abitiamo. Se un figlio o una figlia si ammalano di anoressia, una famiglia non sempre ha veri strumenti a disposizione per affrontare la faccenda. 

Abbiamo un problema grande con la malattia che non vogliamo vedere, che puzza, che ci fa schifo. Isoliamo l’infetto perché sotto sotto pensiamo che a mischiare i malati coi sani va a finire che ci si ammala: certo, non si attaccano la leucemia o un tumore al pancreas, ma non si sa mai. Metti che domani la Scienza scopra che il contatto prolungato… che una carezza o un bacio… Il fatto che si sappia, che sia scientificamente provato che le cose stanno altrimenti non cambia: temiamo il contagio. Abbiamo messo al bando le persone malate di HIV e Il giovane Werther perché credevamo che il solo raccontare potesse scatenare un’“epidemia di suicidi”.

 

ILSE 

E io so anche il perché, Martha.

 

MARTHA 

Te l’ha detto lui?

 

ILSE 

I compiti. Ma non dirlo a nessuno.

 

MARTHA 

Parola mia!

 

Nel 2022, in Europa, i suicidi sono stati più di 49 mila. Rispetto al 2021, il totale è aumentato di un migliaio. Nel 2010 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva lanciato l’allarme: la depressione sarà la malattia più diffusa al mondo dopo le patologie cardiovascolari. Le principali vittime del fenomeno saranno gli adolescenti, i più colpiti avranno quattordici anni. Quel futuro lo stiamo vivendo. Dalla sirena dell’OMS abbiamo avuto quindici anni di tempo per attrezzarci ma, se ci rifacciamo a Wedekind, più di cento: cosa abbiamo messo in campo? Nel mezzo c’è stata una pandemia che in un attimo è stata debellata, sì, ma cosa ha prodotto? Probabilmente nulla, se non che ci ha ricordato che non siamo propriamente i padroni del mondo anche se ogni tanto commettiamo l’errore di crederlo. E di insegnarlo ai nostri figli e alle nostre figlie.

Quando cammino per Via Po, a Torino, in cerca di libri nelle bancarelle, se non conosco l’autore o l’autrice, apro il cellulare e guardo chi è. Non dalla copertina, ma dagli anni, sì, un libro lo giudico. Se è mort*, tendenzialmente mi interessa di più. Se è mort* vecchi*, non tanto. Se è mort* giovane, invece, sì: quando mi sono imbattuto in una raccolta di poesie di Carlo Michelstaedter è stato come vincere alla lotteria. Michelstaedter si è tolto la vita a Gorizia, nel 1910, a ventitré anni: Fatto son da me stesso diverso / che contra il fato mi dicevo forte, / poiché ho esperta e ancor vivo ad ogni istante / nella tua indifferenza la mia morte. / Né più mi giova mendicare i giorni / né chieder altro più dal dio nemico, / se non che faccia mia morte finita.

È tempo che la nostra società faccia i conti con la sessualità e l’erotismo che produce. Io sto imparando a conoscere il sentimento che si accende in me quando scopro Amelia Rosselli (poetessa, si è tolta la vita a sessantasei anni), Beppe Salvia (poeta, si è tolto la vita a trent’anni), e lo tengo a bada. Ho imparato a conoscerne la radice, ho imparato ad amare la poesia al di là della morte o della vita dell’autore e dell’autrice, ma è stato un percorso. Non rischio l’“effetto Werther” (quello è un ancora una volta il dito, non la luna). Come possiamo raccontare che la vecchiaia è affascinante? Come possiamo spiegare alle persone giovani che, tra due che si amano, è naturale scendere a compromessi? Che tutta una vita insieme vale di più che una ragazza o un ragazzo divers* ogni notte (anche quella è una possibilità, figuriamoci, ma bisogna imparare a gestirla); che non basta una vita per conoscere qualcun*; che non arretrare di fronte a questa sfida impossibile richiede un coraggio maggiore che farla finita? Chi se ne occupa? Chi può, senza mentire? Non i genitori, forse un(’) insegnante, ma bisogna che sia davvero capace. Io ne ho incontrat* – sono stato fortunato. I bambini sono svegli, uno su tre ha genitori separati, per cui: cosa crediamo di raccontare loro? Cosa pensiamo ancora di nascondere loro? È tempo di cominciare a cucire la faglia. 

Mio padre ha sessantaquattro anni. A sessantaquattro anni, mia nonna si è tolta la vita. C’è stato un tempo che nei confronti di quel gesto provavo ammirazione. C’è voluto del tempo perché io dicessi che lei ha perso. Perché ha perso il mio sesto compleanno e quelli che sono venuti dopo. Ha perso la faccia di mio fratello che cambiava. L’apparecchio che è arrivato e se ne è andato. Ha perso i cambi di gestione degli stabilimenti balneari. Il mare che si è mangiato la spiaggia. Ha perso la chiusura della Griglia, il ristorante. Ha perso le lasagne di sua sorella Fiorella. Ha perso la nascita di Davide, suo nipote. Ha perso gli occhi di zia Monia, sua figlia, e quelli di mio padre, suo figlio. Ho cominciato a capire questo di recente, girando un documentario che porterà il suo nome: Pierina. Ho capito così che dovevo partire dal vocabolario: mia nonna non ha commesso un gesto eroico, non si tratta di coraggio, ma di fragilità, di vigliaccheria, di tristezza… No, neanche. Si parla di depressione. E che, sì, lei ha perso. Noi che non siamo stati capaci di salvarla abbiamo perso ugualmente. Ma non c’è colpa, non c’è colpevole. Solo vittime. Imparare ad abitare questa tragedia è lacerante ed entusiasmante allo stesso tempo, perché nessun* sa come si fa. Insomma, non Edipo, non Medea, non Melchior – non noi. Siamo sopravvissuti, il nostro compito è capire come si fa.

I poeti che si sono tolti la vita, da quel crinale, dalla soglia, hanno dato delle indicazioni. Quindi no, non può essere Cazzullo a guidarci, ma magari Esenin sì: «In questa vita, morire non è una novità, ma di certo, non lo è nemmeno vivere». Non stupitevi, quindi, se mi sono tolto la vita: niente di sensazionale – un suicidio o un infarto valgono lo stesso. Majakovskij, che a sua volta era in dirittura d’arrivo, scrive un’elegia all’amico che termina così: «In questa vita non è difficile morire, vivere è di gran lunga più difficile». Non parlate di quello che ha fatto come di “coraggio”, non c’è coraggio nel procurarsi la morte. Il coraggio serve a chi ha cuore di restare. Majakovskij: «A tutti. Della mia morte non incolpate nessuno e, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto li detestava. Mamma, sorelle, perdonatemi: non è una soluzione (e non la consiglio ad altri), ma non ho vie d’uscita». Che significa: abbiate cura di come parlate di me, di quello che ho fatto. Pasternak, che sopravvive, commette l’errore parlando subito dopo la morte di Majakovskij, perché scrive nel dolore: «Il tuo sparo fu simile a un Etna / in un pianoro di codardi!». Ma qui è comprensibile, giustificabile. In bilico tra la vita e la morte, sarebbe necessario avere una figura che sappia fare le dovute distinzioni, che contestualizzi, che tenga dritta la barra. Che mentre la morte ci ammalia, ci attira a sé, tenga d’occhio la vita. Perché non si penda troppo dal lato di Moritz c’è bisogno di un Signore Mascherato che faccia il tifo per noi:

 

ATTO TERZO, SCENA SETTIMA

Cimitero. Melchior, Moritz con la sua testa sottobraccio.

 

MORITZ 

[…] Niente può più farmi impressione. Soprattutto dopo il mio funerale. Perché io c’ero! È stato divertente. È lì che ho cominciato a librarmi al di sopra di tutte le vostre innumerevoli miserie. Non avere paura, Melchior! Dammi la mano! Ti sto offrendo un’occasione unica.

 

MELCHIOR

Va bene. Ti do la mano, Moritz, anche perché tutte le persone per cui valeva la pena vivere sono morte. Ed è per colpa mia.

 

SIGNORE MASCHERATO

Melchior! Non ti reggi in piedi, hai fame, hai freddo, hai sonno…

 

MORITZ

Ma lei cosa vuole? Si tolga dai piedi!

 

MELCHIOR

Chi è lei?

 

SIGNORE MASCHERATO

Poi lo capirai, Melchior…

 

MORITZ

Se ne vada!

 

SIGNORE MASCHERATO

Lei perché non ha la testa al suo posto?

 

MORITZ

Perché mi sono sparato un colpo in testa.

 

SIGNORE MASCHERATO

Appunto, è morto. E sta infestando l’aria di putrefazione… Guardi, le si stanno anche staccando le dita…

 

MORITZ

Non mi mandi via…

 

MELCHIOR

Ma mi vuol dire chi è lei?

 

MORITZ

La prego, fa freddo là sotto… Non darò fastidio…

SIGNORE MASCHERATO

Però sta raccontando un sacco di fandonie al suo amico. Se vuole restare stia in silenzio, e metta via quella mano putrefatta.

 

MELCHIOR

Mi dice chi è lei sì o no?

 

SIGNORE MASCHERATO

No. Ma se ti fidi di me risolvo tutti i tuoi problemi di adesso.

 

MELCHIOR

Sei mio padre?

 

SIGNORE MASCHERATO

No. Tuo padre è disperato, cerca consolazione tra le braccia di tua madre. Fidati di me, io ti apro le porte del mondo. Hai solo bisogno di un pasto caldo e di un letto in cui dormire.

 

MELCHIOR

Questo è il diavolo. Non basteranno certo un pasto e un letto caldo per cancellare le colpe di cui mi sono macchiato…

 

SIGNORE MASCHERATO

Dipende dal pasto e dal letto che ti viene offerto! Fidati di me! Prima di tutto: la tua Wendla avrebbe partorito felicemente. È morta d’aborto, hai capito? Fidati di me e capirai tutto quello che c’è da capire del mondo.

 

MELCHIOR

Ma come faccio a fidarmi di uno che non mi dice neanche chi è?

 

SIGNORE MASCHERATO

Non puoi conoscermi se non ti fidi, anzi, se non ti affidi a me.

 

MELCHIOR

O mi dice chi è o do la mano al mio amico!

 

MORITZ

Ha ragione lui, Melchior. Io ti ho raccontato solo menzogne. Fidati di lui… Almeno è reale.

 

MELCHIOR

Lei crede in Dio?

 

SIGNORE MASCHERATO

Dipende…

 

MELCHIOR

Mi parli della sua etica, della sua morale.

 

SIGNORE MASCHERATO

Ragazzino, mi stai mettendo sotto esame?

 

MELCHIOR

Mi dica chi è e l’esame finisce!

 

MORITZ

Ma perché non la smettete di litigare? Siamo qui, insieme, due vivi, un morto… Sennò prendo la mia testa e me ne vado!

 

MELCHIOR

Tu sei sempre il solito cagasotto!

SIGNORE MASCHERATO

Guarda che ha ragione l’ectoplasma. La mia etica? La mia morale? Due valori astratti: Responsabilità e Volontà. Li mettete insieme e il prodotto della loro moltiplicazione è quello che noi chiamiamo Morale. Perché tutto diventa reale.

 

MORITZ

E perché a me nessuno l’ha detto? Io credevo… La mia morale era “onora il padre e la madre”… E così ho fatto… Mi sono sparato.

 

SIGNORE MASCHERATO

Perché hai creduto che le tue angosce fossero reali.

 

MORITZ

Perché ho creduto che le mie angosce fossero reali.

 

SIGNORE MASCHERATO

Deludere i genitori non li ammazza mica… Soffrono al massimo per la vostra salute…

 

MELCHIOR

È vero. Se avessi dato la mano a Moritz a causa dei miei sensi di colpa, avrei pensato di rispettare la mia morale.

 

SIGNORE MASCHERATO

Per fortuna tu non sei Moritz.

 

MORITZ

Però anch’io, se avessi incontrato lei mentre vagavo nel bosco con la pistola in mano…

 

SIGNORE MASCHERATO

Non ti ricordi di me? Guarda che io c’ero… Proprio nel bosco, proprio mentre…

 

MORITZ

Ah… Beh, adesso devo proprio andare…

 

MELCHIOR

Addio Moritz. Non so dove mi porterà questo qui ma, capisci, almeno lui è vivo.

 

MORITZ

Certo… E, scusa, Melchior, scusami se volevo trascinarti… Credevo fosse per amicizia… Ma volevo vederti un’ultima volta.

 

SIGNORE MASCHERATO

Bene. Adesso le cose sono al loro posto. Lei, signor fantasma, ha la rassicurante certezza di non avere più niente… E tu la consapevolezza di avere solo dubbi.

 

MELCHIOR

Addio Moritz! E grazie per avermi voluto vedere ancora una volta, dopo tanto tempo passato insieme. Te lo prometto, non so cosa diventerò, quanto in alto salirò o quanto in basso scenderò. Ma di te non mi dimenticherò mai. E se diventerò vecchio sarai tu che avrò sempre accanto, come nessun altro potrà più essermi vicino.

 

Mi sono domandato – e continuo a farlo – se davvero ho il diritto di parlare così di un tema come questo. Lorenzo, Leonardo, Paolo e tutt* gli altri e le altre sono, per me, il risultato di una guerra che la nostra società finanzia e porta avanti. A cui ci siamo in qualche maniera abituat* e che ci rende tutt* colpevoli. Oltre a mia nonna, nella famiglia di mio padre i suicidi sono stati quattro. Lui non ha dubbi che ci sia qualcosa nel nostro DNA. Sono cresciuto con il timore che anche lui o mio fratello potessero arrivare a un gesto come quello. So che mia madre prova lo stesso timore nei miei confronti. Scrivo di questo perché per me è davvero una questione di vita o di morte.

Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi. Cesare Pavese. Chi con me aveva qualcosa in sospeso, chi può pensare che una sua parola o una sua azione abbiano causato la mia morte: no, non siete così importanti. Ho perdonato tutt*, fate lo stesso con me. Capito polizia? Capito informazione? So bene che il vostro mestiere è fare divulgazione, ma dove non sapete e non potete arrivare, lasciate stare: leggete una poesia o mettete in scena Risveglio di primavera

MORITZ

Eccoci qua, con la nostra testa sottobraccio. La luna, insignificante, è apparsa per un momento ma se n’è già di nuovo andata. Credo che tornerò al mio posto. Fiori, di freschi prima o poi qualcuno me li porterà. Io, intanto, mi riscalderò nella putrefazione... E magari sorriderò.3

1 La scelta di includere la fotografia di Paolo Mendico non intende in alcun modo inscriversi in una logica di “pornografia del dolore”. L’immagine non viene proposta come spettacolarizzazione della sofferenza, ma come parte integrante di un percorso di riflessione che attribuisce valore testimoniale e critico alla sua presenza.

2 L’uso di termini quali “colpa”, “colpevole” o “vittima” presenta una dimensione problematica, in quanto rimanda a un’idea di giustizia punitiva che qui non si intende riprodurre né legittimare. La loro adozione è tuttavia deliberata: in Risveglio di primavera la colpa e il senso di colpa costituiscono nuclei tematici centrali, e in questa sede essi assolvono a una funzione specifica nell’economia del discorso.

3 Le citazioni da Risveglio di primavera riportate in questo testo provengono dall’adattamento che ho realizzato insieme ai miei compagni e alle mie compagne.

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